Che cos’è il Kintsugi, l’arte giapponese di riparare con l’oro? Leggi il nostro articolo e scopri l’origine di questa tecnica.
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Kintsugi: l’arte giapponese di riparare con l’oro
Sicuramente ne avete già sentito parlare un po’ ovunque, soprattutto su Faceboook, ma penso che questa tecnica giapponese sia davvero interessante e meriti almeno un piccolo approfondimento. Kintsugi significa letteralmente “riparare con l’oro”. Questa tecnica di restauro nasce alla fine del 1400 da ceramisti giapponesi per riparare tazze in ceramica per la cerimonia del tè, chiamata Cha no yu.
Questo rituale prevede che, quando va in frantumi un oggetto, le sue linee di rottura rimangano visibili. Al loro interno si inseriscono la lacca urushi e la polvere d’oro. Un oggetto di ceramica, se riparato con questa tecnica, diventa una vera e propria opera d’arte. L’oro diventa un elemento che impreziosisce ed accentua la bellezza, ma allo stesso tempo mette in evidenza la sua fragilità, che diventa un punto di forza.
Lo stesso concetto può essere utilizzato in maniera simbolica per gli esseri umani. Infatti, così come gli oggetti sono unici per la casualità con cui la ceramica può frantumarsi, anche ognuno di noi ha le sue caratteristiche irripetibili. Ma soprattutto, l’aspetto più importante è che dall’imperfezione e da una ferita può nascere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e interiore.
Molto poetico, non trovate?
Le origini di questa tecnica
Facciamo giusto un breve cenno sulle origini dell’arte kintsugi. Nel periodo Muromachi nella seconda metà del 1400, il militare giapponese Ashikaga Yoshimasa ruppe una delle sue tazze tenmoku. Alcuni ceramisti cinesi la “cucirono”, seguendo appunto le linee di rottura, in cui inserirono delle graffe in ferro. Ma per l’ottavo shogun la tazza era ormai rovinata e si infuriò.
A quel punto, i maestri ceramisti giapponesi cercarono di mettervi riparo usando l’estetica del wabi sabi (da non confondere con il wasabi!) e i materiali a loro disposizione. Ecco che vennero usate la lacca urushi e la polvere d’oro per incollare i pezzi rotti della tazza e coprire le linee di rottura.
Yoshimasa fu soddisfatto: la sua tazza era stata riparata, ma soprattutto era diventata unica.
Il Kintsugi è una filosofia
Lo sappiamo che i giapponesi sono un popolo molto legato alla filosofia e alla spiritualità. L’arte kintsugi affonda le proprie radici nella filosofia Zen. Partendo dal wabi-sabi (di nuovo, da non confondere con la pianta verde super piccante!), il kintsugi racchiude in sé tre concetti: mushin, anicca e mono no aware. Cosa significano?
Mushin vuol dire “senza mente”. È un concetto che esprime la capacità di lasciare correre, dimenticando le preoccupazioni, liberando la mente dalla ricerca della perfezione.
Anicca significa impermanenza: l’esistenza, senza eccezioni, è transitoria, evanescente e incostante. Triste realtà, tutte le cose sono destinate alla fine. Accettare tale condizione permette di avere un approccio sereno e consapevole della vita.
Mono no aware è l’empatia verso gli oggetti, è una malinconia triste e profonda per le cose. Apprezzandone la loro decadenza si arriva ad ammirarne la bellezza.
Quindi, il kintsugi è anche un simbolo e una metafora di resilienza e, come lo definisce Céline Santini, “L’arte segreta di riparare la vita”.